lunedì 22 agosto 2011

La Politica di Sodoma

Anwar Ibrahim entra in tribunale con la moglie
MALAYSIA - Gli scandali sessuali, veri o presunti, specialmente se con qualche risvolto penale, vengono ampiamente utilizzati in politica per colpire l’immagine degli avversari, anche all’interno dello stesso partito. In Asia, dove l’etica pubblica e privata di governanti e parlamentari è - agli occhi degli elettori - spesso più rilevante delle loro decisioni politiche (o dei loro crimini finanziari e violazioni dei diritti umani), un’accusa di omosessualità può distruggere per sempre un uomo politico, anche se si tratta di un leader abile, esperto e di grande popolarità. E questo è tanto più vero se lo scandalo viene sollevato in un Paese conservatore e a maggioranza islamica come la Malaysia, dove l’omosessualità è ancora un tabù infamante. Ne sa qualcosa Anwar Ibrahim, 64 anni, fino a pochi anni fa Vice Primo Ministro e candidato in pectore alla successione del leader storico della federazione, Mahatir Mohammed, ma caduto in disgrazia nel 1998 per contrasti con il suo mentore e altri colleghi sulla strategia da seguire per fronteggiare la devastante crisi che nel 1997 aveva colpito le economie asiatiche. Cacciato dal partito UMNO e dalla coalizione di maggioranza, il Barisan Nasional, Anwar era finito subito al centro di un’inchiesta per corruzione, alla quale si era immediatamente aggiunta un’imputazione di “sodomia” (omosessualità). Arrestato, picchiato in carcere, esposto al pubblico ludibrio per mesi con rivelazioni ampiamente rilanciate dalla stampa governativa, l’ex astro nascente della politica malese (nominato “Asiatico dell’Anno” dal settimanale Newsweek nel 1998) nel 2000 era stato condannato a 15 anni di prigione, sulla base di un’investigazione che molti osservatori indipendenti non avevano esitato a definire “una evidente e ben orchestrata macchinazione politica”. Le proteste di moglie, figli, amici e sostenitori e alcune inchieste giornalistiche indipendenti portarono nel 2004 a una revisione del processo e all’annullamento della sentenza da parte della Corte Suprema malese per pesanti vizi di forma e di sostanza nell’inchiesta. Da allora Anwar ha tentato di rientrare in politica, diventando in breve tempo il leader dell’Opposizione al regime di Kuala Lumpur, vincendo un seggio in Parlamento e rilanciando le speranze degli avversari del regime, dei riformatori e delle minoranze etniche. Immediata la reazione della maggioranza, arrivata fino alla sospensione di Anwar dal Parlamento per “minacce all’unità nazionale” e altrettanto rapida una nuova campagna su presunti reati a sfondo sessuale. Ancora un’accusa di omosessualità, questa volta sulla base di una denuncia di stupro da parte di un giovane funzionario politico, dalla credibilità apparsa subito alquanto dubbia, e la diffusione ai giornali e su YouTube di un video che ritraeva un uomo vagamente rassomigliante a Anwar, intento a commettere “atti contro-natura”. Immediata una nuova inchiesta della Polizia e una formale accusa di violenza sessuale culminata, pochi giorni fa, nell’apertura di un nuovo processo di fronte al Tribunale di Kuala Lumpur. Presentandosi davanti alla Corte, accompagnato dalla famiglia, Anwar - da buon politico - ha tenuto un discorso di un’ora proclamandosi innocente e dichiarando: “Questo processo non è altro che una cospirazione del Primo Ministro Najib Razak [nuovo uomo forte del Paese], per liquidarmi mandandomi dietro le sbarre. Lui e gli altri possono fare scempio della mia reputazione, minacciarmi con la prigione, ma non potranno ridurmi all’obbedienza. La verità prevarrà.”

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