sabato 27 agosto 2011

La carestia delle donne

Spose bambine in India
INDIA - Alcuni Stati dell’India soffrono di una particolare carestia, endemica ormai da molti anni. È una carestia per la quale la Natura non ha alcuna responsabilità e che vede l’Uomo (e soprattutto gli uomini, con la ‘u’ minuscola) portare per intero la colpa. Stiamo parlando della cosiddetta “carestia di spose”, la mancanza di donne in età da marito causata dalle scelte famigliari di molti indiani che preferiscono avere figli di sesso maschile. Questo pregiudizio di genere, nelle zone più povere è la causa di uno dei crimini più efferati ma socialmente tollerati in India, l’infanticidio delle bambine, mentre tra i ceti ricchi induce le coppie a rivolgersi sempre più spesso alle cliniche della fertilità per determinare il sesso (maschile) del nascituro. Il risultato di questa umana intrusione negli equilibri naturali è un cronico squilibrio nella proporzione donne/uomini, che nel Punjab (893 femmine ogni 1000 maschi) e nell’Haryana (877 contro 1000) raggiunge ormai livelli allarmanti. Le conseguenze si fanno sentire anche e soprattutto quando, nei villaggi e nei piccoli centri rurali, viene il tempo per i giovani uomini di trovare una compagna. Poiché non ci sono donne a sufficienza per tutti, i maschi di questi due Stati finiscono per procacciarsi le spose in altre regioni (i poverissimi - ma ben dotati di popolazione femminile - Assam, Orissa, Bengala Occidentale, Jharkhand e Bihar), tramite agenzie, amici o mediatori, che fanno della compravendita con le famiglie (povere) delle future mogli, un fruttuoso business. La prassi - siamo pur sempre in un Paese dove i matrimoni combinati sono una tradizione consolidata - non tiene ovviamente in alcuna considerazione sentimenti “irrilevanti” come l’Amore, e si risolve, appunto, in un accordo mercantile dove l’uomo retribuisce i genitori, rinunciando alla tradizionale dote e avendo in cambio “l’uso” esclusivo di una figlia, spesso giovanissima. E proprio di “uso” in molti casi si deve parlare, perché queste ragazze povere e comprate - che sono quasi sempre di una casta inferiore a quella dello sposo, parlano un’altra lingua e non hanno alcun legame culturale e affettivo con la società che le accoglie, e si ritrovano inevitabilmente nel doppio ruolo di moglie (intesa come oggetto sessuale e di riproduzione) e di donna delle pulizie, costretta a mille lavori domestici, spesso anche a favore della famiglia allargata del marito-padrone. “Sposarsi con una donna ‘importata’, dipende solo dal prezzo”, sostiene Rishi Kant della ONG Shakti Vahini. “I mariti sono disposti a pagare cifre varianti tra le 50 mila e le 300 mila rupie (da 750 a 4.500 euro), a seconda dell’età, dell’aspetto e, naturalmente, della verginità o meno della ragazza”. Non è raro, infine, che dopo alcuni anni di “servizio” queste donne “straniere” vengano ripudiate o vendute a un altro uomo, rendendo la loro vicenda ancora più tragica. Il traffico delle spose è uno dei segreti più noti della società indiana, ma nelle campagne (e in Parlamento) non si ama parlarne apertamente. I risultati di un recente studio condotto in 92 villaggi dell’Haryana - e pubblicato dal quotidiano The Hindu - ha rivelato che su 10 mila famiglie intervistate oltre 9 mila “mogli” provenivano da altri Stati. “In ogni villaggio ci sono almeno 50 ragazze comprate fuori dallo Stato” si legge nel rapporto finale. “Alcune sono giovanissime (fino a 13 anni) e solo una piccola percentuale è davvero trattata come moglie, mentre per le altre sarebbe più corretto parlare di vera e propria servitù femminile”.

Nessun commento:

Posta un commento